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La chirurgia coronarica ha più di cinquant’anni. I primi interventi di Bypass aortocoronarico furono effettuati nel 1964 e solo alla fine degli anni sessanta si iniziò a parlare di nuove tecniche e dell’utilizzo dell’arteria mammaria. Dagli anni settanta fino ai giorni nostri le tecniche si sono sempre più evolute e nonostante lo sviluppo del trattamento percutaneo (angioplastica) ancora oggi, secondo le linee guida internazionali la chirurgia rimane la terapia ideale per molti pazienti coronaropatici.

Lo scopo del trattamento chirurgico è quello di superare l’ostacolo costituito da un restringimento (stenosi) critico in una delle arterie coronarie mediante un ponte (bypass) che ripristina il flusso di sangue oltre l’ostacolo, favorendo quindi l’apporto di sangue ossigenato alle cellule miocardiche tributarie della coronaria.

Per fare ciò, è necessario un condotto che deve essere posizionato oltre la stenosi. L’arteria mammaria interna (AMI) è il condotto ideale che normalmente viene utilizzato sul ramo coronarico principale, il ramo discendente anteriore. Per le altre coronarie si utilizzano condotti come la vena grande safena (VGS) prelevata dalla gamba del paziente, e meno frequentemente, l’arteria radiale e l’arteria gastroepiploica. Il numero dei bypass dipende dal numero delle arterie ostruite. La stragrande maggioranza dei centri di cardiochirurgia utilizzano i bypass in mammaria e in safena. E’ possibile utilizzare la doppia mammaria (destra e sinistra) per una rivascolarizzazione completa con condotti totalmente arteriosi.

La rivascolarizzazione con arteria mammaria (la sinistra è la più utilizzata per la vicinanza anatomica con l’arteria discendente anteriore) offre i migliori risultati a distanza. Viene prelevata dalla parete toracica interna dopo l’apertura del torace tramite sternotomia. L’arteria mammaria viene isolata e staccata dal torace mediante legatura delle collaterali e la parte terminale viene suturata (anastomosi) a valle della coronaria malata. La vena safena, isolata dalla gamba o coscia del paziente, viene suturata a valle della stenosi coronarica e sull’aorta ascendente dalla quale riceverà il sangue destinato all’arteria coronarica dopo la lesione critica come si vede dalla figura (in blu il tratto di vena che costituisce il bypass aorto-coronarico e in rosso il peduncolo di arteria mammaria sulla coronaria).

L’intervento può essere eseguito in circolazione extracorporea (CEC) a cuore fermo, o senza l’ausilio della CEC, a cuore battente (off-pump), decisione che viene presa in base alle condizioni generali del paziente quando la CEC può far prevedere un aumentato rischio di complicanze postoperatorie di organi come il rene, il cervello, il polmone e il cuore stesso. Altra soluzione è quella dell’approccio ibrido che prevede la chirurgia tradizionale e l’angioplastica (trattamento percutaneo) per completare la rivascolarizzazione di vasi non aggredibili chirurgicamente. Inoltre il trattamento dell’arteria discendente anteriore a cuore battente con arteria mammaria e la procedura percutanea sugli altri vasi può essere estremamente vantaggioso per quei pazienti ad alto rischio che non sopporterebbero una circolazione extracorporea.

E’ compito dell’Heart Team (in genere cardiochirurgo, cardiologo e anestesista) di valutare attentamente i rischi dell’intervento chirurgico in pazienti complessi con patologie multiorgano. L’approccio multispecialistico, con la partecipazione del neurologo, del nefrologo, dell’ematologo, dello pneumologo e di altri, migliora la valutazione preoperatoria del paziente critico mediante strategie che tendono a ridurre l’impatto di complicanze durante l’intervento e nell’immediato postoperatorio.

L’utilizzo di punteggi (score), di cui i più utilizzati nel mondo sono Euroscore II e STS Score, aiuta notevolmente nell’individuare i soggetti ad alto rischio che potrebbero essere indirizzati ad altre soluzioni terapeutiche piuttosto che la chirurgia.

I vantaggi della rivascolarizzazione miocardica mediante bypass coronarico:

  • aumentato flusso di sangue, di ossigeno e di nutrienti per le cellule miocardiche;
  • riduzione o scomparsa del dolore (angina) tipico della malattia coronarica;
  • riduzione degli eventi avversi nel breve e nel lungo periodo se associata ad una attenta monitorizzazione dei fattori di rischio;
  • miglioramento della qualità di vita.

Come tutti gli interventi chirurgici, la rivascolarizzazione miocardica non è scevra da complicanze a volte molto gravi che possono portare a morte il paziente. Fortunatamente le complicanze gravi non sono frequenti e dipendono soprattutto dalle patologie pre-esistenti. Tra le complicanze maggiori e minori possiamo elencare:

  • infarto miocardico perioperatorio;
  • aritmie;
  • ictus cerebrale o lesioni ischemiche cerebrali transitorie;
  • sanguinamento postoperatorio;
  • insufficienza renale;
  • infezione perioperatoria;
  • insufficienza cardiaca congestizia;
  • complicazioni ematologiche;
  • complicanze polmonari.

Il paziente operato di bypass riprende la vita normale dopo pochi giorni di riabilitazione (consigliata!).

Dobbiamo però ricordare che il bypass è pur sempre un intervento ‘palliativo’ che non rimuove le cause dell’aterosclerosi che ha danneggiato le arterie coronarie. Solo l’attenta riduzione dei fattori di rischio può migliorare l’esito ‘quoad vitam’ ed evitare che ulteriori lesioni possano ripresentarsi in futuro invalidando il buon lavoro fatto dal cardiochirurgo.

Le informazioni pubblicate in questo articolo e sul sito web salvatoretribastone.com non sostituiscono in alcun modo i consigli, il parere, la visita, la prescrizione del tuo medico. Cerca sempre il consiglio del tuo medico di fiducia per qualsiasi domanda o condizione di salute.

@salvotribastone

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